
Ritratto di Olga su una poltrona – P. Picasso, 1917
Un giorno in cui passeggiavo col cane
al guinzaglio guardai in alto, verso un balcone.
Ci vidi un cartello con su scritto:
subaffitto la mia emotività.
Entrai nel palazzo. Salii fino al portone.
Deciso a capire il senso delle parole,
accantonata l’esitazione, suonai.
Mi aprì una donna in vestaglia
spoglia di ogni ornamento
(solo oggi penso: bella come non mai! )
nella sua nuda nudità, nuda realtà, brutalità
malcelata per quanto trattenuta.
Mi offrì un caffè
che sapeva di chiuso e di stantio
e non parlava.
E io non parlavo.
Avevo prima un’altra cosa da fare:
cercare lei. Nelle intercapedini rare
tra i manuali grigi e i romanzi rossi,
nelle stampe floreali della carta da parati consunta,
nella punta delle spine della viva rosa,
nella testa del leone che ruggisce al fondo
delle gambe del tavolino di legno scuro,
nella crepa sul muro…
Compresi che aveva capito la mia intenzione quando
guardò me fissando ancora gli occhi lucidi
del cane e disse:
– Le interessano 100mq di tristezza?
C’è una stanza da letto di perdizione,
un bagno per vomitare frustrazione,
un salone di confusione
e una stanza di dolore per cucinare minestre amare.
Una mensilità anticipata
e la tengo informata sul mio rientro in città.
Ah!, le chiavi sono sul comodino
e in cantina c’è del vino.
– E lei dove va? – riuscii soltanto a dire
– A cercare un surrogato di felicità.
Il mio sguardo sbigottito
(che sciocco sono stato!)
le indicò che l’offerta non aveva sortito l’effetto sperato
e aggiunse: – Non crediate
che di tutto questo nessuno abbia bisogno.
Io lo so bene e perciò subaffitto..
perché torno.
L.